Nel mese di maggio è finalmente arrivato nelle librerie Lenticchia. Dall’altra parte del mondo, Verbavolant edizioni. Il lockdown ha sconvolto i suoi programmi (ne era prevista la presentazione alla Fiera del libro di Bologna) imponendole di pazientare prima di poter uscire di casa ed incontrare il suo pubblico.
In questo lavoro torna a collaborare la coppia autoriale Claudia Mencaroni e Luisa Montalto, già nota per il libro Seb e la conchiglia che nel 2019 fu tra i finalisti del premio Andersen. Già durante la lavorazione di Seb, Lenticchia faceva capolino nei progetti delle due artiste, quasi come un’esigenza.
Il libro è dedicato “ad Anna, che ha avuto quattro anni dall’altra parte del mondo”; Anna è la figlia di Luisa Montalto, illustratrice romana che al tempo della realizzazione di Seb e Lenticchia viveva a Singapore con la sua famiglia. Come lei stessa racconta, in un’interessante intervista sulla pagina Facebook di Verbavolant edizioni, ad un certo punto le si è posto il problema di raccontare le sue radici a sua figlia, nata e cresciuta letteralmente dall’altra parte del mondo rispetto a lei: “ero molto preoccupata di poter trovare il modo di raccontare ad Anna che cosa fosse Roma […] cercavo queste parole […] e non venivano proprio fuori […] Cercavo il modo di raccontare a chi, come Anna, era cresciuta così lontana dalle memorie che appartenevano ai suoi genitori […] come fargliele sentire familiari. Claudia [Mencaroni] ha trovato le parole perfette, io le ho solo disegnate”.
Ma quella di Lenticchia non è una storia autoreferenziale, né una storia su Roma, per quanto inevitabilmente la Città Eterna sia evocata in modo evidente; per comprendere questo racconto non serve nemmeno conoscerne tutti i retroscena. Ciò di cui parla infatti è quel “bisogno universale -dice ancora Montalto- di circoscrivere una sensazione fatta anche di piccoli dettagli, piccoli elementi, piccoli ricordi che però rappresentino un luogo […], non necessariamente solo fisico […], un luogo dell’infanzia, del ricordo, delle radici”. Dunque è una storia per tutti.
“Lenticchia è una bambina grande di quattro anni, alta così e larga cosà”; la vediamo nella sua cameretta, sorridente mentre è intenta a misurarsi con un righello. Nella sua stanza c’è un’enorme finestra che affaccia su un paesaggio urbano.
Ai lati della finestra due tende sembrano incorniciare la scena quasi a creare un sipario aperto sulla vita che sta fuori. Una veduta così ampia da cui in fondo vediamo così poco: dei grattacieli, delle case. Nella camera ci sono arredi sobri ed essenziali, pochi giocattoli e tanti, tantissimi libri. C’è anche un cameo di Seb e la conchiglia, il cui poster è appeso a una parete.
Tutto appare al suo posto, in ordine; ma ecco un primo grande spiazzamento: il paesaggio alla finestra, che ora prende tutto lo spazio della doppia pagina, appare a testa in giù, stravolgendo la nostra prospettiva. Il testo che l’accompagna ci rivela che “Lenticchia vive dall’altra parte del mondo”. Ma cosa significa vivere “dall’altra parte”? Ad un primo livello, indubbiamente, c’è l’altrove fisico, oggettivo di chi vive lontano dal suo luogo d’origine. Ma a livello più profondo possiamo intenderlo come una condizione generale dell’infanzia che per sua natura ancora non è ben collocata e deve costruire pezzo per pezzo il suo senso di radicamento e di appartenenza.
Lenticchia è curiosa, vuole sapere “com’è il mondo dall’altra parte del mondo”. La sua è una ricerca vivace e gioiosa, del tutto priva delle inquietudini che spesso accompagnano le ricerche degli adulti. Né la mamma né il papà sanno per altro rispondere alla bambina; i loro volti imbarazzati, i loro gesti nervosi, lasciano trasparire un grande disagio, quasi una sofferenza. Dicono parole “troppo grandi” o sembrano proprio non trovarne. Lenticchia però non si lascia incupire. Un giorno prende la sua valigia, ci si siede dentro e… inizia un viaggio. Ogni tappa la porta a luoghi, incontri, atmosfere e scenari emotivamente molto carichi. Dovunque vada c’è un piccolo oggetto ad attenderla. Iniziamo presto a cercarli questi oggetti-simbolo che ricorrono nel testo: il campanellino, la girandola, il sasso, la moneta, il ramo.
Un momento particolarmente lirico è l’incontro di Lenticchia con il mare, “Oh. Il mare”; quel mare che riempie gli occhi, quelli di Lenticchia che si commuovono alla sua vista, e anche i nostri che hanno bisogno di un’apertura in più, una terza facciatala facciata di un libro è la superficie occupata da una singola pagina che ci si rivela nella sorpresa di un’anta apribile.
Il mare è ciò che ha più colore all’interno del libro, dove il racconto è principalmente in bianco e nero. La tecnica illustrativa, tipicamente orientale, ricorre a pennello, inchiostro nero e carta di riso. I colori, pochi e ricorrenti, sono usati solo per sottolineare alcuni dettagli tra cui appunto il mare che letteralmente inonda la pagina e sconfina.
Al termine del suo viaggio sono mamma e papà a farsi attenti ascoltatori della loro piccola; sono loro a chiedere “com’è dall’altra parte del mondo”. A Lenticchia basta aprire la valigia per iniziare a raccontare. Felice. Sotto alla valigia-barca vediamo una pozza d’acqua, “a poppa” la girandola e al polso della bambina ritroviamo il campanellino. Lenticchia sembra ancora inspirare l’aria salmastra e godere della brezza marina che arruffa i capelli e arrossa il viso.
L’ultima immagine ci mostra Lenticchia nascosta da una coperta che le fa da tana. Ha in una mano una torcia accesa, la stessa che si incontra nel risguardo a inizio libro e che qui illumina qualcosa che Lenticchia guarda con espressione piena d’amore. Non sappiamo cosa sia, di sicuro proviene dalla sua collezione di tesori di cui, probabilmente, la valigia è lo scrigno. Aprirla significa accedere a tutte le storie che questi oggetti raccontano, storie immaginate, memorie di esperienze vissute. Reperti che conservano la potenza dei momenti in cui sono stati trovati, usati, raccolti e trasformati in qualcosa di prezioso da custodire, che provengono direttamente dall’altra parte del mondo e rendono l’altrove intimamente vicino.
Forse è questo che Lenticchia, e l’infanzia tutta, cerca con tenacia di raccogliere, sfruttando tutte le sue risorse, immaginazione compresa: il senso delle cose, il loro valore, dati dall’esperienza di cui si rendono tramite e dai legami d’affetto di cui conservano le tracce. E la propria identità, perché nel viaggio che ciascuno compie per capire a quale mondo appartenga, per unire ció che dentro di sé appare distante, serve raccogliere i piccoli indizi che si trovano sulla strada e servirsene poi per fare grandi voli.
Per bambini dai 6/7 anni d’età. E per tutti gli adulti in ricerca.
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