Nobody Owns the Moon è considerato uno dei più importanti albi illustrati(picture book): un libro che usa parole, immagini e grafica per raccontare una storia. Non è semplicemente un libro che Leggi per bambini che sia stato pubblicato in Australia negli ultimi dieci anni e il passare del tempo ne ha confermato lo status di classico contemporaneo. (www.tohbyriddle.wordpress.com, traduzione mia)
Questo è uno stralcio del comunicato stampa con cui, nell’agosto 2018, la casa editrice Berbay Publishing annunciava con entusiasmo l’acquisto dei diritti di Nobody Owns the Moon (letteralmente Nessuno possiede la Luna) di Tohby Riddle, rivelando l’intenzione di realizzarne un’edizione speciale a dieci anni dalla prima uscita, risalente al 2008 per Penguin Australia.
Se questo albo in patria è ormai considerato un classico della letteratura illustrata, tanto da essergli dedicate trasposizioni teatrali e mostre, giunge sugli scaffali delle librerie italiane soltanto nel marzo scorso grazie a Babalibri che ha affidato la traduzione a Cristina Brambilla. Ecco a noi, dunque:
Si può avere la Luna?

La scrittura, in incipit, ricorda per linguaggio e ritmo il documentario naturalistico:
La volpe è uno dei pochi animali selvatici al mondo capaci di adattarsi con successo alla vita in città.
Questo perché è intelligente…
e in grado di mangiare una grande varietà di cibi.
Il testo nelle prime pagine è quasi da divulgazione scientifica, schietto e oggettivo. Ma le parole non sono lasciate sole, ci sono anche delle illustrazioni ad intrecciarsi alle prime, in un gioco di rimandi brillante e surreale dall’effetto volutamente umoristico.

La volpe è talmente ben adattata alla vita cittadina da girare in camicia, maglioncino e pantaloni di velluto a coste. In casa ha addirittura una riproduzione del “Campo di grano con cipressi” di Van Gogh. Come non definirlo un “adattamento con successo”? La volpe si fa chiamare Clive, ché il suo nome vero non lo potremmo pronunciare; ha una casa, un lavoro, qualche amico. Le tavole sono realizzate con una tecnica mista di illustrazione e collage integrati in modo molto fluido e coerente.

Clive non è l’unico animale a vivere in città, ce ne sono molti altri sebbene per lo più non siano sistemati altrettanto bene; è il caso dell’asino Humphrey che ha una vita davvero faticosa. È senza fissa dimora, non ha un lavoro stabile e ha l’aria di chi non fa una buon pasto o una bella dormita da un pezzo. Clive ed Humphrey sono amici.

Un giorno la sorte sceglie proprio loro per un regalo speciale
Humphrey trova in un tombino una busta dalla bella carta azzurra; la conserva perché più tardi vorrebbe mangiarsela ma Clive la nota e la apre:
“Aspetta, Humphrey, questa non è una busta come le altre. Dentro ci sono due biglietti e sono per uno spettacolo di teatro, stasera!”
“Sul serio?”
“Sì, e noi ci andremo!”
E così accade. I due si recano a teatro per assistere alla prima della nuova opera di un celebre commediografo locale; per l’occasione si concedono il vezzo di un farfallino e una cravatta al collo. La serata inizia con un aperitivo servito nello scintillante foyer, seggono poi in prima fila sulla lussuosa balconata, da cui hanno una perfetta visuale sulla scena. Presto, ci dice l’autore, sono rapiti dalla pura bellezza. Al termine della rappresentazione, spetta loro anche una bevanda e una fetta di torta nell’elegante caffetteria del teatro. È tutto così inaspettato, così perfetto, da commuovere fino alle lacrime.

Terminata la serata, i due amici si avviano verso casa, percorrono un pezzo di strada insieme e infine si congedano con un abbraccio. Termina in quell’abbraccio anche la narrazione, lasciandoci con la sensazione certa di avere tra le mani un piccolo gioiello.
Se chiedessimo ai lettori di che cosa parli questo libro probabilmente non avremmo risposte univoche
È stato definito un libro sull’amicizia, sul disadattamento sociale, sull’alienazione; o ancora sulla dignità, sull’importanza dell’arte. Qualsiasi tema si scorga, anche a ragione, la storia però lo eccede, sempre. Per quanto si tenti di etichettarlo, questo albo finisce per strabordare da qualsiasi confinamento tematico.
Comunemente prevale l’idea che le storie destinate ai bambini debbano dire le cose in modo chiaro, senza lasciare nulla di sospeso, che debbano raccontare grandi avventure e possibilmente insegnare qualcosa. La vicenda di Clive ed Humphrey invece vive in sospensione, è lieve, piccola, viene narrata senza cedere a didascalismi moraleggianti, non possiede lirismi o chiose leziose, fa a meno persino di un finale scoppiettante e consolatorio che in qualche modo metta a posto le cose. Proprio per questo è potente ed universale, ci parla e ci lascia liberi di trattenerne quel che vogliamo, quel che possiamo; è credibile pur avendo come protagonisti una volpe e un asino in giacca e pantaloni, perché come dice l’attore Marco Baliani “la verità di una storia non ha nulla a che fare con la quantità di realtà in essa contenuta” (cit. Ho cavalcato in groppa ad una sedia, M. Baliani, ed Titivillus).
Ciò che personalmente ho trattenuto incontrando questa storia per la prima volta, è soprattutto una domanda: di che cosa ho bisogno? Forse, anzitutto, di sentire che c’è un posto per me a questo mondo, che un pezzetto di questo mondo mi spetta, anche se non è mio. Un po’ come la Luna, che non appartiene a nessuno ma il suo splendore e il suo mistero sono per tutti.
