Scritto dalla giornalista e scrittrice Cristina Bellemo e illustrato da Gioia Marchegiani, Tipi è un libro che ho molto amato fin da subito. La sua pubblicazione è avvenuta nel 2019 grazie alla casa editrice torinese Gruppo Abele.
Leggendo “Tipi” ho provato subito molta simpatia ed ho percepito un’immediata affinità con la piccola Luce, la protagonista. Prima ancora di leggere la descrizione che Luce fa di se stessa, vi è una pagina in cui campeggia la frase “Che tipo sono”. Questa frase è stata per me spunto di riflessione. Che tipo sono io?
Luce porta il nome della sua nonna e odia quando qualcuno lo storpia chiamandola Lucetta: si sente un abat jour! Luce è una bambina molto curiosa, ama scoprire le persone, ama raccogliere i tappi di bottiglia, i sassi, adora disegnare e ha riempito ben quattordici quaderni di cose che ha raccolto qua e là e che ha incollato.
La bambina si è trasferita da poco nel Condominio Giardini e, mossa dalla sua innata voglia di conoscere, va alla scoperta di tutti i “tipi” di persone che abitano nel suo condominio. Io e Luce abbiamo molte cose in comune.
Luce, attraverso la sapiente penna di Cristina Bellemo, descrive con cura e dovizia di particolari i “tipi” che abitano nel suo condominio.
La prima “tipa” è la Signora Alfonsina, che abita al decimo piano, scala D, nell’appartamento a destra. Alfonsina ama le domande, ha un cassetto per ogni tipologia di domande, quelle culinarie, quelle sentimentali, quelle noiose e quelle stupide. “Cosa si deve dire ad una persona triste?” e “Quanto dura una promessa?”.
Mi sono resa conto di avere anch’io tante domande dentro di me e di non avere la pretesa e la presunzione di poter rispondere a tutte. Di me amo anche le mie domande senza risposta.
Luce va avanti nella scoperta dei condomini ed incontra anche il “tipo” che ha tutte le risposte, è il Signor Zeno. Alfonsina e Zeno non si incontrano mai. Talvolta il vento porta una risposta sul davanzale della Signora Alfonsina, la quale, prontamente, la spazza via come se fosse polvere. Alfonsina, evidentemente, sta bene con le sue domande. La sua finestra, adornata con tendine di pizzo, è socchiusa e, sul davanzale, c’è una scopetta, le serve per spazzare via la “polvere”.
Tra i tanti “tipi” descritti ci sono individui che la gran parte delle persone definirebbero bizzarri, c’è Mario, che ha tantissime scarpe, ma non le usa perché non va mai da nessuna parte e c’è il tipo che legge i nomi sul campanello e poi inventa storie.
Ho trovato estremamente dolce e poetico l’incontro tra Luce ed Osvaldo, il condomino della Scala C, che abita al nono piano; Luce colleziona sassi e tappi, Osvaldo colleziona i venti e li tiene tutti racchiusi all’interno di barattoli di vetro. In un vaso c’è la bufera di neve di una notte d’inverno, in un altro il fiato di una mamma che soffia sulla minestra bollente del suo piccolo ed in un altro ancora quelle folate tiepidine che arrivano quando passi dietro al Municipio. Un giorno Luce porta in dono ad Osvaldo un barattolo contenente il vento che, due anni prima, ha fatto volare via dalla tavola piatti e bicchieri, durante la sua festa di compleanno. Osvaldo e Luce si divertono a rincorrere il vento per casa. Osvaldo aveva proprio bisogno di incontrare Luce ed infatti le dice “Grazie. Certi venti bisogna proprio aspettarli”. Gli incontri non avvengono mai per caso. Poesia pura, per me.
Ho trovato altrettanto poetiche e delicate le meravigliose illustrazioni di Gioia Marchegiani. Come rappresentare dei vasi di vetro contenenti il vento? In uno c’è una girandola, in un altro un cappello, volato via dalla testa di qualcuno, in un altro un soffione e, in un altro ancora, un piccolo aeroplano di carta, uno di quelli che i bambini si divertono a lanciare ripetutamente verso il cielo.
Nel suo girovagare, poco prima di incontrare finalmente un bambino come lei, Luce si imbatte anche nel Signor Ugo, quello che si lamenta sempre, quello delle continue proteste. Ugo non lo ascolta più nessuno perché tutti si sono stufati di ascoltare le sue lagne. A Luce non piace Ugo e anche in questo io e lei ci assomigliamo.
Giunta al quinto piano, scala A, Luce finalmente incontra Pietro, un “tipo” bambino, con grandi occhi verdi e capelli biondi spettinati. Luce è davvero molto felice, insieme potranno inventare storie, cercare le lucertole, nascondere le cose in posti segreti e scoprire altri “tipi”. Pietro possiamo solo immaginarlo, possiamo lasciar galoppare la nostra fantasia, perché, laddove c’è la sua descrizione, troviamo solo l’immagine di una scala, la scala che porta al suo appartamento.
Alla fine del libro c’è una domanda “E i tuoi tipi?”, alla quale non sono potuta restare indifferente, probabilmente, in questo momento, avevo bisogno che mi venisse rivolta questa domanda ed ho sentito la necessità di dare una risposta.
I miei tipi sono quelli che amano la Bellezza e le nuvole, quelli che amano la poesia e che non provano invidia per gli altri, i miei tipi sono quelli con tante domande, sono quelli che non hanno paura di amare, di abbracciare, sono quelli che, come dice Andrea Marcolongo nel suo bellissimo libro sulle etimologie, intitolato “Alla fonte delle parole”, sanno farsi “diafani”.
I “diafani” sono in assoluto i miei tipi preferiti, sono quelli che non hanno paura di rivelarsi e di farsi conoscere, ma che sono ben consapevoli che questo non significhi spalancare la finestra sulla propria anima e permettere a tutti indistintamente di affacciarsi per guardare. I diafani sono coloro che, al momento giusto, sanno calare le barriere, che, altrimenti, non permetterebbero alla luce di entrare, ma non svendono il proprio essere al primo che passa. Essere “diafani” non è affatto facile, richiede la capacità di trovare il giusto equilibrio tra aprirsi all’incontro e proteggersi. Un bel problema, direi.
Tipi mi ha fatta riflettere, mi ha fatta sorridere ed un po’ mi ha fatta anche commuovere.
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