Quest’anno dobbiamo fare i conti con una nuova maestra. Si tratta del primo anno di scuola materna per Ilaria e tutto è cambiato. Siamo passati dall’alto contatto del nido, al saluto con la manina dalla soglia di un istituto paritario gestito da suore.
La maestra è una giovane signora, laica, gentile e sorridente, che noi genitori stiamo imparando a conoscere. Finora mi è sembrata dolce e sinceramente vicina al sentire dei piccoli, tuttavia l’ambiente in cui lavora le impone di rispettare una determinata linea e per me “l’esame” non è ancora superato.
Vediamo come si evolverà la situazione, e se la scelta si sarà rivelata giusta. Per ora ci limitiamo a vigilare da moderata distanza e ad osservare le reazioni della nostra bambina. Certo è che se potessi esprimere un desiderio, e scegliere la maestra dei sogni per mia figlia, somiglierebbe molto alla protagonista del libro La maestra è un Capitano, nata dalla felice penna di Antonio Ferrara.
La maestra è un Capitano
Antonio Ferrara, Anna Laura Cantone, Coccole books, 2012
Età di lettura consigliata: dai 7 anni
Umanissima, disponibile, schietta, ironica, una maestra contemporanea che è anche una moglie e mamma dalla vita complicata dai mille impegni giornalieri. Seguiamo il flusso ininterrotto dei suoi pensieri, mentre in classe 25 diavoli travestiti da bambini fanno di tutto per farle perdere la pazienza e la voce: si tirano i capelli, si infilano la matita nelle orecchie, si lanciano quaderni, si spalmano Vinavil sulla faccia…
Non è facile essere una maestra, oggi. Spesso è estenuante, soprattutto se a casa tuo marito pensa che il lavoro serio sia solo il suo, e tua figlia adolescente ti mette alla prova continuamente.
A casa comincio a cucinare prima ancora di togliermi il cappotto, così l’acqua intanto comincia a bollire.
Mio marito arriva e saluta appena.
Ha la faccia scura. “Ciao, amore”, gli faccio mentre lo aiuto a togliersi il cappotto, “com’è andata a lavoro?”.
La risposta non è una parola, non è un sorriso, non è uno sguardo, è un grugnito da gorilla della profonda foresta africana.
Quanta pazienza! Quanta lungimiranza! Se dicesse tutto quello che le passa per la testa… Ma non può permetterselo, deve incassare e andare avanti, mostrarsi forte, propositiva, affettuosa, tirare su il morale agli altri.
A casa, è lei la colonna. In classe, la quinta di una primaria, gli alunni non le danno quasi mai tregua. Ma ognuno di loro ha un nome, una storia da rispettare, delle fatiche da sopportare, dei dolori da superare, e la maestra ne tiene conto.
Una maestra dovrebbe saperle tutte,
le risposte, come le tabelline e i congiuntivi.
Ho pensato che una maestra dovrebbe essere responsabile, che poi è una parola che significa abile a rispondere.
A rispondere, non a interrogare.
E poi ci sono dei momenti di profonda sintonia e di contatto con i bambini. Come quando legge per loro e con loro, dieci minuti tutti i giorni, subito dopo l’appello, in cui avviene il miracolo, ritorna l’attenzione, il silenzio, la partecipazione.
Con una scrittura empatica e divertente, Antonio Ferrara ci fa amare la sua protagonista: una donna genuina, coraggiosa e generosa. Ridiamo delle sue vicissitudini con gli allievi, con i loro genitori imperfetti, con il marito e con la figlia esigenti, la comprendiamo, un po’ la compatiamo. Ma mai, mai, la giudichiamo, perché ci rendiamo conto che è una maestra vera, di quelle che considerano il loro mestiere una missione, e hanno a cuore i bisogni dei bambini, li ascoltano e li spronano a crescere senza paura.
Perché crescere è una festa, mica una punizione.
Un racconto commovente e molto sentito, stampato su un supporto originale, un libro-quaderno a righe con la sovraccoperta che diventa un poster. Le illustrazioni sono quelle inconfondibili di Anna Laura Cantone, dal tratto caricaturale e un umorismo fantasioso che coglie nel segno.
La mia famiglia
Gianna Braghin, Vessela Nikolova, bacchilega Junior, 2015
Età di lettura consigliata: da 7 anni
Ambientato in una scuola primaria è anche questo raffinato albo edito da Bacchilega Junior che ho avuto modo di conoscere e apprezzare durante la presentazione ufficiale che ne è stata fatta alla fiera del libro di Bologna.
Come il racconto di Ferrara, anche la storia narrata da Gianna Braghin è scandita da una scrittura convincente che attinge dal linguaggio parlato e quotidiano. Ma stavolta il punto di vista rappresentato è quello di un bambino. Un bambino che tentenna prima di svolgere il compito che gli ha assegnato la supplente: disegnare la propria famiglia.
Il bambino si guarda intorno inquieto, allunga il collo per vedere i fogli dei compagni, commenta i loro disegni e i ritratti che ne scaturiscono. Alcune gli sembrano famiglie tristi, altre eleganti e sorridenti… ma la sua? Com’è la sua famiglia?
Mentre pensa e ripensa, ci immergiamo nell’atmosfera onirica creata dall’illustratrice: solo il protagonista appare ben definito e a colori, gli altri personaggi sembrano sbiaditi, sfocati. Notiamo poi che i fogli, le matite, i disegni sembrano volare fra le pagine, e che le prospettive e le proporzioni delle illustrazioni non corrispondono a quelle reali.
Tutto appare leggero, fluttuante, come i pensieri del bambino, che lasciano l’aula e prendono il volo, fino a raggiungere la casa in cui vive. Conosciamo così la sua famiglia: una sorellina appena nata che ruba le attenzioni di tutti, una mamma che ha un nuovo compagno (il papà della sorellina), un papà vero che si chiama Giulio, un nonno paterno con la barba.
Via via che il disegno della sua famiglia prende forma, il bambino si apre e ci racconta particolari e confidenze: il bisnonno su una carrozzina, la sua badante che ama fare la raccolta differenziata, gli zii, i cugini, i fidanzati dei cugini, le sorellastre.
Comprendiamo che si tratta di una famiglia allargata, travagliata, viva e piena di contraddizioni. Una famiglia come tante.
Come il gioco delle bambole russe che si svelano una dopo l’altra, così il quadro familiare si allarga, aggiungendo persone, dettagli, frammenti, esperienze di vita. E un solo foglio da disegno non può bastare per ospitare tutto. Ce ne vogliono molti di più, perché anche i sentimenti e le emozioni devono trovare il giusto spazio.
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