Sono passati esattamente quarant’anni dalla prima pubblicazione di “C’era una volta un topo chiuso in un libro” dell’autrice svizzera Monique Felix; in Italia è arrivato nel 1981 con EL edizioni.
Quarant’anni e non sentirli! Non solo perché questo piccolo albo senza paroleAlbo illustrato senza parole (detto anche silent book e wordless picturebook): albo illustrato senza testo, in cui la narrazione è Leggi è incredibilmente attuale quanto a forza espressiva e potenza comunicativa; potremmo scambiarlo per una produzione nuovissima anche perché sembra pensata apposta per questo complicato periodo storico che stiamo vivendo e che ci impone, nella migliore delle ipotesi, una situazione di confinamento forzato tra le mura domestiche. Il nostro nido, la nostra “casa dolce casa” non ci sono mai stati così stretti. Ci sentiamo in fuga e allo stesso tempo in gabbia, piccoli topini di fronte a qualcosa di troppo grande.
Per quelli della mia generazione, i trentacinque/quarantenni, imbattersi in questo libriccino che si tiene nel palmo di una mano è fare un inaspettato tuffo nel passato, nella propria memoria profonda. Ricordo chiaro eppure spesso coscientemente rimosso, quel topolino sbuca di nuovo dalla polvere del tempo per dirci “ti ricordi di me?”. È un personaggio che, se fin da piccoli abbiamo frequentato libri e biblioteche, in molti casi abbiamo incontrato, conosciuto e spesso amato e poi… perso di vista per tanti anni. Ripubblicato nel 2009 da Emme edizioni, questo volume ha ricevuto nel 2010 il premio Andersen come miglior libro mai premiato ma ad oggi non è così facile da reperire, quanto meno per l’acquisto (per fortuna esistono le biblioteche!).

C’era una volta un topo chiuso in un libro: torniamo a sfogliarlo insieme
Lo apriamo e troviamo, per l’appunto, un piccolo topolino. È lì solo su un fondo completamente bianco. Si guarda intorno grattandosi il mento con una zampina, con fare meditabondo. Dà l’impressione di sentirsi confuso, spaesato, quasi non sapesse come è finito lì.
Nella scena successiva il topo cerca, con tutta la sua forza, di spingere quella che sembra una parete alla sua sinistra, per noi il limite laterale del libro, ma lo sconcerto lo assale nel rendersi conto che non c’è via di fuga da quella parte. Non c’è neanche dall’altro lato, né sopra, né sotto.

E ora?
Il topino non si rassegna ed escogita un modo per scappare, sfruttando con ingegno e creatività la sua facoltà migliore: rosicchia! E così si apre uno squarcio nella pagina che rivela un mondo altro e finalmente pieno di colori.

Siamo sempre nel libro o stiamo uscendo da esso?
Dall’angolino dove la carta è stata squarciata appare pian piano uno scenario agricolo che si riesce a sbirciare da una prospettiva dall’alto, quasi fossimo su di una nuvola. A questo punto il libro, che era prigione, diventa risorsa per la libertà: la pagina rosicchiata via, opportunamente piegata dal laborioso topolino, si trasforma in un aeroplano con cui volare dritto dritto in un campo di grano gustoso.
Ma le avventuire del topo chiuso in un libro non finiscono qui!

Nel 1983 la Felix dà alle stampe una “Seconda storia di un topo chiuso in un libro” raggiungendo, a mio avviso, un grado di coinvolgimento del lettore ancor più grande del primo volume.
Il topo questa volta piomba nel libro perché vi si rifugia lui stesso. Qualcosa lo sta inseguendo, lo spaventa e il libro gli fa da soccorso. Ripresosi dalla sua corsa si guarda intorno. Di nuovo siamo nel bianco totale e spiazzante. Il topo allora medita, ragiona, sembra di veder girare le rotelline del suo piccolo cervello da roditore.
La soluzione è sempre la stessa: sfondare la “quarta parete”. Rosicchiando la pagina ancora una volta si mettono in comunicazione due universi: la pagina vuota comincia ad essere invasa dall’acqua, prima qualche goccia, poi il flusso si fa intenso. Il tempo stringe, il libro si sta allagando (con un effetto visivo meravigliosamente spumeggiante) e al topo spetta il compito di elaborare una strategia per cavarsela.
Il rettangolo di pagina ricavata con un preciso lavoro di dentini viene piegata per diventare una barchetta di carta. La gioia del topo che naviga, sano e salvo, conquista anche noi. Tiriamo tutti un sospiro di sollievo, l’acqua infatti è arrivata a bagnare la punta delle nostre dita, l’abbiamo sentita!

In questi albi si crea una sorta di effetto “matrioska”: c’è il mondo del lettore, quello del libro e quello oltre il libro e chissà, forse qualcosa ancor più esterno che li ricomprende tutti. Fantasia, certo! È su questo che ci fa esercitare la lettura di questi due piccoli gioielli, albi silenziosi eppure incredibilmente narrativi: la fantasia che, per dirla con Munari, “è tutto ciò che prima non c’era anche se irrealizzabile” (Fantasia, B. Munari, 1977). Ma che ora c’è!

In questo tempo fatto di limiti e di nuovi confini, un tempo che scorre a velocità inconsueta e spiazzante, fatto di pagine improvvisamente vuote, un po’ rifugio e un po’ prigione, impariamo anche noi ad usare le nostre facoltà migliori per aprirci dei varchi sull’inimmaginato. Dei varchi di libertà e di pura gioia.
