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Il coniglietto di velluto secondo Komako Sakai

Impara ad illustrare e creare fiabe e racconti per bambini. [ADV]

Il coniglietto di velluto – o come i giocattoli diventano veri è l’opera che ha reso famosa la scrittrice anglo-americana Margery Williams Bianco e occupa un posto indiscusso nell’empireo dei racconti per l’infanzia più amati del XX secolo; dopo aver accompagnato una dopo l’altra intere generazioni di bambini ed essere stato oggetto di dozzine di rivisitazioni, riscritture, versioni illustrate e adattamenti per radio, teatro, cinema e tv (l’ultima di queste è di pochi mesi fa, qui il trailer ufficiale), a più di un secolo di distanza dalla sua prima pubblicazione è ancora costantemente riproposto in molteplici varianti.

Il coniglietto di velluto comparve per la prima volta su una rivista femminile americana, la Harper’s Bazaar, nel 1921 accompagnato dalle illustrazioni di Pamela Bianco, bambina prodigio nel campo delle arti figurative e nientemeno che figlia di Margery, all’epoca decisamente più famosa della madre. Furono proprio gli editori della Harper’s Bazaar a commissionare a Margery Williams la stesura di un testo che potesse essere illustrato da Pamela, al cui lavoro artistico avevano già dato spazio sulle pagine della rivista e al quale si mantenevano interessati. Si è detto che proprio Pamela sia in realtà la vera destinataria di questo racconto e che sua madre avesse in mente e nel cuore lei mentre lo scriveva, sebbene il destino di questa storia sarebbe stato, di lì a poco, quello di raggiungere lettori ben più lontani nel tempo e nello spazio. L’anno successivo al suo esordio, il racconto venne pubblicato in singolo volume, questa volta con le illustrazioni di William Nicholson (1922); ebbe così inizio la sua longeva fortuna editoriale. 

Da allora, come si diceva, il Coniglietto ha preso saldamente posto nell’immaginario di moltissimi bambini e bambine, negli Usa, dove nacque, e non solo, ma anche di moltissimi artisti che gli hanno voluto rendere omaggio attraverso la loro opera; un esempio su tutti: il grande Maurice Sendak fece la sua versione de Il coniglietto di velluto solo tre anni prima di pubblicare Where the Wild Things Are (Nel Paese dei mostri selvaggi).

Nel solco di questa tradizione si è inserita anche l’autrice e illustratrice giapponese Komako Sakai con un albo illustrato del 2007; è appunto di questo lavoro che voglio parlarvi qui, dopo che Kira Kira ne ha dato alle stampe la prima traduzione italiana (2023).

È Natale, un bimbo riceve in dono un pupazzo di velluto, un morbido coniglietto che, nonostante il deliziato interesse iniziale del suo nuovo padroncino, nel giro di poche ore finisce per essere dimenticato e messo da parte, giocattolo tra i giocattoli nella stanza del bambino. I giocattoli sono tanti e di tanti tipi, alcuni sono molto semplici, usurati, vecchi e forse per questo saggi e gentili; altri invece sono giochi costosi, con ingranaggi meccanici che li fanno muovere e al contempo li riempiono di boria; il Coniglietto viene preso in giro da questi ultimi, perché lui [è] fatto con un semplice pezzo di stoffa mentre loro, capaci di muoversi come sono, dichiarano con saccenza di “essere veri”. Ma cosa vuol dire per un giocattolo “essere vero”, significa avere una chiave che ti carica e ti fa muovere?, si chiede il nostro protagonista, umiliato ma anche perplesso. Il Cavallino di cuoio, il gioco più vecchio e logoro della stanza, possiede le risposte ai dubbi del Coniglietto e gli rivela un segreto cruciale: è l’amore di un bambino a rendere vero un giocattolo! E poi aggiunge un’affermazione che ha tutto il sapore della profezia:

Potresti diventare Vero anche tu.

È una magia che a volte accade nella stanza dei bambini.

Il coniglietto di velluto

Testo e illustrazioni di Komako Sakai, dal racconto di Margery Williams Bianco, traduzione di Roberta Tiberi, 44 pagine, 18,00 euro, Kira Kira 2023 – Lettura consigliata dai 3 anni 

Quello del “diventare veri” è un tòpos letterario che almeno da Pinocchio in poi è diventato assai familiare e riconoscibile a chiunque frequenti, anche distrattamente, la letteratura per l’infanzia; l’oggetto inanimato (il pupazzo, il burattino) che ambisce ad essere finalmente un soggetto in carne ed ossa, riuscirà a realizzare il suo desiderio a seguito di svariate peripezie e solo dopo aver rischiato di perdere tutto. Il Coniglietto di velluto, dopo essere riuscito a conquistare la sincera amicizia del bambino, essere stato eletto a compagno di giochi preferito e dunque essere diventato Vero per lui, sta per essere bruciato insieme a tutto ciò con cui il piccolo è stato in contatto durante i lunghi giorni di allettamento in cui lo ha costretto una seria malattia infettiva. Tutto sembra perduto ma a questo punto interviene la magia, già evocata dal Cavallino di cuoio, a sancire ciò che l’amore aveva già fatto accadere.

Quella di Komako Sakai è una riscrittura de Il Coniglietto di velluto che asciuga il testo, pur restando fedele all’originale, e che soprattutto regala alla storia un nuovo apparato iconografico; vi riconosciamo il suo stile inconfondibile e raffinato, fatto di figure quasi abbozzate eppure ricche di dettagli, macchie di colore scontornate, pennellate veloci che spesso lasciano intravedere il colore di fondo della tavola (qui il nero per lo più) e, nel complesso, una grazia che è propria di tutta la produzione dell’artista giapponese. 

Le inquadrature scelte da Sakai tagliano costantemente fuori gli adulti dalla scena; quando essi compaiono se ne vedono solo il tronco o la schiena, le mani, mai il volto; tutto è ad altezza di sguardo di bambino. Ciò appare molto coerente con questa storia che è dedicata proprio all’infanzia, alla sua potenza creatrice, capace letteralmente di “dare vita” a dei mondi per il solo fatto di amarli, contro e al di là di ogni logica adulta; logica che, appunto, rimane letteralmente e metaforicamente “fuori dalla cornice”. Allo stesso tempo, nella perdita sbrigativa e senza cruccio del giocattolo tanto amato, viene sancito anche il passaggio, la fine inevitabile dell’infanzia soggettiva, quella di Pamela, quella del bambino del racconto, quella di ciascuno di noi e dei nostri bambini. Eppure, sembra suggerire il finale della storia, qualcosa di ciò che l’infanzia ha saputo creare per sé resta, da qualche parte, come patrimonio “Vero” per tutti.

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